ARNO

“Ci voleva anche la nebbia” sussurrò Rocco strabuzzando gli occhi per indovinare il percorso della striminzita strada di campagna. Lui e Arno erano diretti in un paesino della bassa friulana introvabile persino nella carta geografica.
“Ti rendi conto dove mi mandano a suonare? Io che ho cantato nei più grandi teatri, io che ho venduto milioni di dischi… guarda come sono ridotto. Ma non è finita, vedrai che si ricrederanno al prossimo disco… Che mal di schiena… e c’ho anche la vescica in fase esplosiva, non vedo l’ora di arrivare.”
Arno ascoltava senza intervenire. Erano anni che i due suonavano insieme ed erano anni che Rocco brontolava per il successo che non gli arrideva più e per gli acciacchi dell’età avanzata.
Alla periferia del paese si scambiarono i posti. Il vecchio musicista voleva far credere di avere ancora l’autista e Arno guidava sempre negli ultimi chilometri. Giustificava l’arrivo in utilitaria affermando che la Jaguar si era guastata proprio il giorno prima e quella era la seconda auto.
Ad accoglierli il sindaco col naso rosso dell’avvinazzato, un assessore timido e un gruppo di anziani fans con i soliti “… ah le tue canzoni ci hanno fatto innamorare…io le so tutte a memoria…puoi firmare questo vecchio 45?…ricordi nel 68?…”
Il teatro (teatro? Meglio definirlo sala parrocchiale) era colmo. Il pubblico mormorava rassicurante e composto.
“Bella gente” disse Rocco, più a tranquillizzare se stesso che Arno, il quale era come sempre imperturbabile e flemmatico.
Si comincia.
Il presentatore:
“…perché Rocco Burtone non è solo un cantautore: è poeta, è raccontatore di storie paradossali, sempre attento alla realtà che lo circonda. Rocco è il nuovo che si insinua nella tradizione. E infine è un grande musicista, e poi un grande interprete, un cantante che ghermisce le note come un pescatore acchiappa impietoso la sua preda, e la preda di Rocco siete voi, caro pubblico. Accogliamo con un bell’applauso quest’uomo non ancora stanco di successo, non certo giovane d’età, nondimeno ancora fresco ed arzillo: a voi il grande Rocco Burtone.”
“Presentatore coglione.”
Il pubblico applaudì in modo garbato e benevolo dando a Rocco il via per l’ingresso sul palcoscenico. Arno lo seguì quasi di soppiatto e si sistemò al pianoforte.
Il concerto si avviò come sempre discreto, quasi indolente, in cerca di una progressione fino all’apoteosi degli ultimi brani più intensi e ritmati. Arno “sentiva” il nervosismo del capo e puntellava la concentrazione verso gli eventuali errori. Che puntuali, come sempre, giunsero.
Già al primo brano, dopo il Do minore, Rocco invece di andare in Fa suonò il Re. Arno mise subito una sesta ed alzò il volume. Nell’assolo del secondo pezzo, forse innervosito dall’errore precedente, volle strafare e riempì di note inutili un blues lento che di tutto aveva bisogno meno che di leziosi virtuosismi. Finito l’assolo Arno gli fece un delicato tappetino affinché rientrasse col canto, ma Rocco iniziò troppo calante e quando si trovò nel Sol alto Arno percepì che non ce l’avrebbe fatta, quindi entrò con la seconda voce alzandone il tono per coprirlo. Del terzo brano dimenticò il testo e il povero pianista andò avanti un minuto e mezzo con un “solo” mentre Rocco meditava sugli scherzi della memoria e, da bravo professionista chiedeva al pubblico l’applauso per il virtuoso alla tastiera. Giunto alla canzone “Il bambino e la Luna” dimenticò l’introduzione parlata ed Arno lo “coprì” con uno scherzo pianistico.
Il concerto continuò per cento minuti con Rocco che stonava, steccava, sbagliava persino le parole ed Arno che interveniva ogni volta ad aiutarlo. Alla fine i battimani furono calorosi e sinceri e Rocco ebbe il suo da fare a firmare autografi e a vendere CD, nonché a tenere a distanza il sindaco entusiasta e troppo invasivo.
Il presentatore raggiante osservava da lontano Rocco sommerso dai fans e senza guardare Arno che spossato si rinfrescava con una minerale, gli disse:
“Sei fortunato a suonare con Rocco Burtone. E cerca di sbagliare un po’ di meno .”

© Rocco Burtone

Rocco e Arno
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