Burtonario di Lemmi e Popsie
ROCCO BURTONE
Edizioni Del Sale
Il SDADA è tratto
Non poteva essere che così. E pasta. Non è un refuso per basta. Intendevo scrivere proprio pasta. Pasta da mangiare, intrisa del sugo di parole, un sugo saporitissimo di quelli che alla fine della lettura raccogli con il pane della meraviglia. Meglio se ti unge le mani, così poi ti succhi anche le dita, se non hai di che leccarti i baffi. Eccola tutta qui la democraticità di un’opera come questa: se non sei un uomo o una donna baffuta e sei connotato dal tuo stato glabro allora sorriderai all’epifania dell’evento. Vero, obbietterà il cinico, con quel tipo di sugo non si mangia. Ma sazia l’anima, la appaga e tanto basta. Credete a me che di sughi e di intingoli ho fatto ragione di esistenza. E di resistenza. Conosco Rocco, non i suoi fratelli. Ma lo siamo un po’ tutti fratelli di Rocco, noi che inseguiamo le sue capriole da funambolo rimanendo a bocca aperta, in basso, molto più in basso di lui, mentre lo vediamo volteggiare tra una pennellata d’azzurro e l’altra di infinito: “Fammi qualcosa di Sdada, come introduzione al testo”. Mi disse. “Se non si capisce quello che scrivi è anche meglio”. Beh, eccomi qui, ad elucubrare sulle sue ulteriori Popsie. Per le prime era addirittura intervenuta in prefazione una nota critica russa, Anita Gardenskaya. Qui il poeta scrittore dovrà accontentarsi soltanto di questo mio SDADA. Un “dadaumpa” qualsiasi però, che non gode nemmeno della vertigine delle gambe delle gemelle Kessler. O meglio, di quella vertigine un tempo noi che abbiamo una certa età abbiamo invero goduto. Anche in maniera non lecita. Onanistica, intendo. Qui il riferimento è al contrario nanico: ovvero Dotto. E lo dico da affine. Perché questo SDADA, sciolto nella pignatta del mio brodo, avrà il sapore delle giuggiole. Non voglio – mi rifiuto proprio – fare un’“autopopsia”: tetra operazione quasi cadaverica, che trasformerebbe la materia viva di questa effervescenza in un corpo vile sul quale operare tagli, incisioni, analisi metriche, ritmiche, rimiche e metaforiche. Come si fa a scuola o all’obitorio, due luoghi ormai tremendamente simili: da una parte si disseziona la coscienza, dall’altra le membra. Lungi da me, che le ho amate vive. Le membra di Rocco intendo. Rocco, le membra ancora l’età di tua vita mortale? Tanto per chiosare Leopardi, che felinamente affinava il tutto negli indimenticati versi dell’idillio. Qui è tutt’altra minestra. Ed ecco ancora il (lo) SDADA, direte voi. Ma c’è molto di più. Difficile infatti costringere tanta vita dentro un imbuto gnoseologico e critico. E chi mai vorrebbe finirci dentro? Gli accademici che fanno ricorso a questa pratica dovrebbero essere internati tutti per crimini contro l’umanità. E allora niente gnoseologia. Che si legge “dura”, gutturale, genitale, come “gonade”. Non come gnomo, insomma. Ma mi rendo conto che sto divagando nella prolusione della prolusione senza giungere a conclusione. E lo trovo divertente. Non so quanto nuocerà all’autore questo vano imbrattare di carte, ma l’effetto che mi regala è davvero strabiliante. Almeno quanto quello che mi riverbera dentro, neanche fosse una cannula di endoscopia, dalla prima lettura delle popsie di Rocco. Non mi credete? Pensate che vi possa prendere per il culo (è una delle tante spiegazioni di endoscopia, d’altronde!). Allora provate da voi stessi. No! Che avete capito? Non l’endoscopia, no, ma la lettura di almeno una popsia. Non potrete più farne a meno. Dovrete leggere tutta la raccolta senza fermarvi mai. E alla fine vi renderete conto che è incredibilmente…SDADA. Come in effetti diceva anche quella famosa critica russa di cui si è discettato pocanzi. Quando le si chiese se avesse gradito la raccolta di Rocco rispose laconicamente: “Sda, Sda!”. Nessuno di noi ha osato chiederle se fosse un rafforzativo del sì in lingua russa oppure una connotazione artistica di inequivocabile ascendenza. Ma a che dilungarsi troppo oltre? Un bel tacer non fu mai scritto…quindi la smetto qui.
Angelo Floramo (Dotto)
NESSUN COLPEVOLE
ROCCO BURTONE
Rocco Burtone, un po’ musicista, un po’ scrittore, ma anche pittore. Uomo delle tante scelte, con un solo desiderio: non sapere cosa sia uno stipendio e la tredicesima e la pensione: c’è riuscito. Ha passato la vita quasi annegato tra il sogno e la realtà delle battaglie sociali, sempre attento alla coerenza e alla gioia. Con la musica ha viaggiato ovunque, producendo dieci dischi, così come dieci sono anche i suoi libri.
Disponibile anche in eBook su tutti i lettori
MUSICISTI SUICIDI E ANCHE
ROCCO BURTONE
Edizioni Del Sale
Sono racconti rapidi, vivaci, sbrigativi, sono inattesi, leggeri, raffinati e bugiardi, sono burleschi, beffardi, allegri ma anche tragici, dolorosi. Inutile sprecare aggettivi, la scrittura di Burtone è come la sua musica: non sai mai dove vada a parare.
Ma quello che più mi piace sottolineare è la costante ironia che attraversa il libro, ironia che sovente si trasforma in sarcasmo, che sfocia in amarezza da presentire tra le righe. Amarezza sì dolorosa, ma mai arrendevole, mai remissiva, mai condiscendente. Non di afflizione trattasi, ma di ponderazione dei malanni terrestri e Burtone ne fa sovente teatro per umani libertari e razionali.
E ancora potrei dire dei racconti che mi hanno divertito, passando dal dramma-paradosso del suicida alle avventure musicali o a quelle…
Devo concludere. Che altro dire? Continua a “suonare” così.
Bernardo Salvemini
Il Burtonario è un dizionario scherzoso, incompleto, forse inutile che
Rocco Burtone ha scritto per strappare un sorriso ad adulti e bambini.
BURTONARIO di Facebook
ROCCO BURTONE
Rocco Burtone presenta il suo ultimo – e quarto – “Burtonario”, dopo i tre precedenti, “Burtonario della Musica – dei Bambini – dei Morti”. L’autore ha pensato di raccogliere le frasi più argute e umoristiche, ma anche altre riflessive e appassionate, che interpretano problemi sociali e la realtà, da lui pubblicate in Facebook negli ultimi anni. Naturalmente lo stile è sempre lo stesso, canzonatorio e drammatico, con i continui contrasti emozionali che caratterizzano da sempre il personaggio. Le frasi, gli aforismi, colorano le pagine di ironia, sarcasmo, dolore, partecipazione. Gli argomenti sono i più disparati, e si va dalla “teoria gender”: (Mi strarabizza nel cerverticolo un parolicolo che non capischio: Gender. Ma che significhizza? Vedo ominuscoli che lo usacchiano come mannaiaia. Poveri ominuscoli stupidottoli), ai problemi religiosi: (Il filosofo che crede nella religione è come la mucca che vuole dialogare col macellaio), dalle castronerie musicali: (La cattiva musica sta alla buona musica come la pornografia sta al gesto d’amore), agli amori tutti: (Anche oggi il cuore batte. Il poeta racconta che batte per amore. La prostituta no), e ogni volta il lettore troverà la soddisfazione di sorridere o di emozionarsi.
Burtone, sempre attento al ben-essere e al comfort dei suoi lettori… fornisce alcune preziose indicazioni, utili per affrontare la lettura del suo nuovo Burtonario:
“Se sei solo/a, leggilo in compagnia, e troverai l’anima gemella, quella, per capirci, che riempirà il tuo letto.
Se sei sposato/a, leggilo a tua moglie prima di dormire, vedrai che se ne andrà.
Se sei intelligente, non leggerlo, ché non potrà migliorare la tua condizione.
Se sei stupido, non leggerlo, ché non potrà migliorare la tua condizione.”
InstArt 2015 / MariTu
BURTONARIO dei Bambini e delle Rime
ROCCO BURTONE
(dalla prefazione di Pasqualino Bambino):
Io non so che cosa è la prefazione. Il babbo ha cercato di spiegarmelo, ma non ci capisco una bella poppera. In pratica devo dire se questo libro mi è piaciuto o che fa proprio schifo.
Insieme al mio babbo ho letto questo “Burtonario dei bambini” che a me mi è sembrato bello e che mi sono divertito tanto perché ci sono tante cose che fanno ridere e anche cose che fanno diventare seri e fanno pensare che bisogna essere anche intelligenti. Il problema però è stato proprio il babbo che lo voleva leggere lui, nel senso che lo leggeva con la voce alta e io ascoltavo, solo che ogni volta si metteva a ridere e io non ci capivo niente e quando gli ho detto che volevo leggerlo da solo lui ha detto che non andava bene, perché è sì un libro per bambini, ma che deve essere letto dai grandi e io non ci ho capito niente e penso che a volte i grandi non ci capiscono di queste cose dei bambini.
Insomma, di nascosto lo leggo di notte e mi diverto un sacco e la maestra mi chiede sempre perché in classe ho tanto sonno e vuole parlare col babbo o con la mamma. Come glielo spiego? Adesso finisco, perché devo leggere le ultime due pagine. Accidenti, sono le due di notte! Buonanotte.
BURTONARIO della Musica
ROCCO BURTONE
(dalla prefazione di Angelo Floramo):
Ma che prefazione e prefazione, caro Rocco! Ci ho provato, l’ho scritta e riscritta, emendata, corretta, rimessa a punto. Limata. Abbellita. Da bravo critico laureato ho citato in ordine sparso ascendenze nobili e patinate (anzi, pettinate), ho trovato riscontri con i pensieri di Pascal, parallelismi con le considerazioni di Guicciardini, perfino le celeberrime “buddanate zen” sono andato a pescare. E Cyrano de Bergerac, Orazio, Villon, Flaiano perfino. Per non dirti poi dei canti goliardici composti in taberna dai chierici vaganti medievali. E Seneca! Come non citare Seneca quando si ha per le mani una raccolta di pensieri cui si cerca di apporre dotta introduzione! E ogni volta l’ho trovata inappropriata. Perché scrivere una prefazione a “questa cosa” magmatica che si chiama “Burtonario” è un po’ come indossare una giacchetta di tweed stile professore universitario di Harvard con i sandalacci da globe trotter, che sanno meravigliosamente di mondo e di vita vissuta, di avventura umana e intellettuale, o modulare con voce impostata da evirato cantore lo spartito musicale di una bestemmia oscena, recitata in gregoriano, così turpe da rasentare la santità di una preghiera. Accademica? Macché. Mica si addice alle pagine che seguono. Non potevo certo farti questo torto, amico mio. Informale? Troppo prevedibile, scipita, senza sapore. Come servire su piatti di terracotta un antipastino anonimo “nouvelle cousine” per un menù greve, grasso e saporito, di sana osteria. Dove le più mistiche verità vengono decantate anche a suon di rutti.
BURTONARIO dei Morti e delle Idee
ROCCO BURTONE
(dall’introduzione di Rocco Burtone):
Da tempo buttavo giù alcune righe dedicate ai morti, così, senza ragione. Poi accade che l’anno scorso (2011) organizzo, insieme all’amico Enrico Tonazzi, il FESTIVAL MONDIALE DELLA CANZONE FUNEBRE a Rivignano, un paesino bello e simpatico della bassa friulana. La manifestazione riscuote un notevole successo (ne parlano al “Ruggito del coniglio”, a “Caterpillar” e addirittura due righe anche nel New York Times), tanto che si decide di replicarla nell’anno in cui sto scrivendo (2012). Ecco allora l’idea: perché non affiancare al festival il Burtonario dei morti? Detto e fatto, al sindaco Mario Anzil l’idea piace, a Tonazzi piace, a me piace, ad un pirla non piace e allora… ecco pronto il Burtonario dei Morti per il Festival Mondiale della Canzone Funebre.
CANZONE DEL DISORDINE
ROCCO BURTONE
Canzone del disordine, un thriller psicologico edito da Kappa Vu e scritto da Rocco Burtone
Sullo sfondo di una vivace Udine anni ‘70, ricca di fermenti culturali, di voglia di rinnovamento, di una contestazione giovanile anarcoide e assai trasgressiva, si consuma una storia d’amore che la complessità dei protagonisti tinge dei colori della tragedia. La canzone del disordine non è quindi solo quella che fa da sottofondo alle manifestazioni, alle provocazioni dei giovani dei centri sociali, delle radio clandestine, delle serate di musica e poesia. È anche quella che dà voce a sentimenti ed emozioni spesso confusi, alla ricerca di un’autenticità che i giovani dell’epoca vedevano negata negli schemi angusti dei valori imperanti, quelli della società piccolo borghese. Sono gli anni ‘70 e anche Udine non si sottrae a quell’ultima ondata di contestazione giovanile che aveva attraversato l’occidente
POPSIE diVersi al Muro
ROCCO BURTONE
ANALISI: l’autore definisce il suo lavoro come Popsie, ovvero Poesie Pop, ovvero Poesie che si allontanano dal pedantesco, sofistico, noioso uso che si fa di certo verseggiare poltronesco. DiVersi al Muro è una proposta: appendiamo la poesia al muro. Siccome è un genere non letto, poco studiato, appendiamo la poesia ai muri delle nostre case, nelle cantine, in salotto, nel bagno. E infatti Burtone non propone un’opera libraria, o meglio, è sì un’opera libraria, ma non è un libro. Trattasi di cartellina in cartone con all’interno cartoncini in A4, sfusi, tutti con la loro bella cornice ed ognuno con i versi del cantore Burtone. Il “libro” ha una tiratura limitata e numerata.
SCARICHI PESANTI
ROCCO BURTONE
Trattasi di poesie (anzi, di Popsie) e testi di canzoni. La definizione “Popsie” nasce dal desiderio di proporre una poesia popolare quindi Pop, legata anche al mondo della musica. Infatti le presentazioni avvengono in mezzo al concerto che Burtone, coadiuvato da Arno “Genius” Barzan esegue. Come sempre e come abitudine del duo, non c’è una scaletta ma un canovaccio che viene composto man mano che le letture e la musica proseguono nel percorso.
“…queste tue poesie mi pare abbiano la ritmica, il pulsare, il clangore, il fumo aspro di certe vecchie locomotive…
C’è tanto di Udine e Spilimbergo, c’è l’ironia dell’invettiva che si scioglie vedendo vecchie facce di vecchi compagni farsi un rosso in qualche osteria….
Allora tu impoetico verseggiatore, continua pure a cantare ogni giorno in un caffè la nostra storia, pur se tra sudori e incontinenze, tra dolori e poca gloria. Canta per noi che non lo sappiamo fare più, sii una sorta di eco delle nostre cattive coscienze. Canta per noi che noi non siamo come loro. Il verseggiare ti sarà dolce in questo mare…”
Giuseppe De Grassi (scrittore).
“…non v’è dubbio che la dinamica di questo canzoniere, nel suo insieme, tenda a polarizzarsi verso la poesia a dominante comico-satirica e questo, in un campo ellissoidale, rappresenterebbe il fuoco reale, rimanendo delegate a quello virtuale funzioni laterali ma non periferiche, ma, una volta appurata la declinazione prevalentemente critica ed aggressiva ed insieme gioiosa e burlesca dei versi di Burtone, rimane pur sempre da sottolineare questa scelta atipica, eppure congeniale, che colloca l’autore in un territorio relativamente appartato, se non in una vera e propria produzione di nicchia…
…ma Burtone è tutt’altro che un accigliato censore dei costumi, perché la critica, anche quand’è al vetriolo, si incrocia con una umorale ed insieme appassionata sperimentazione del linguaggio e delle sue possibilità verbali. Di qui la fascinazione quasi fanciullesca che su di lui esercitano le paronomasie, le figure della ripartizione, procedimenti tecnici ricercati come la sistole, la magia ipnotica delle rime…”
Luigi Gregoris (Università di Udine)